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Nella regione Lazio c'è un'opaca gestione dei canili, soprattutto di quelli privati.

Sono ricorrenti le lamentele dei volontari stanchi di avere problemi con i canili convenzionati; difficoltà ad entrare, resistenze dei gestori, divieto di fotografare, differenti procedure di autorizzazione sanitaria, di applicazione dei criteri di benessere animale e di modalità di adozione degli animali.

Ma soprattutto i volontari sono stanchi principalmente di vedere tanta sofferenza e morte.

Il business dei canili del Lazio

In alcune di queste strutture private addirittura non è permessa in alcun modo l'entrata dei rappresentanti delle associazioni e del pubblico per verificare le condizioni dei cani.

Alla luce di quanto detto non sorprende che secondo i dati del Ministero della Salute, il Lazio con 11.182 cani presenti nei canili, nel 2014 risultava al terzo posto in Italia dopo la Puglia che ne ha 23.526 e la Campania 28.420, mentre nelle regioni più virtuose grazie alle adozioni la presenza degli animali è di molto inferiore, in proporzione al numero di abitanti in Lombardia sono 3.598 mentre in Piemonte 4.422.

E' evidente che i canili dovrebbero essere pubblici per legge, ma se il Comune vuole avvalersi dei servizi di un canile privato convenzionato quest'ultimo dovrebbe essere obbligato a rispettare le stesse regole di quello pubblico, ovvero un servizio di pensione con l'apertura alle persone ed al volontariato garantendo buone condizioni di vita agli animali. Purtroppo i Comuni del Lazio nei loro bandi di gara per l'assegnazione della gestione dei canili non si attengono alle disposizioni della Deliberazione della Regione Lazio n.43/2010 e non garantiscono il rispetto dei protocolli di adozione neanche se viene richiesto dalle associazioni di volontariato, con il risultato che i volontari ed il pubblico in molti casi sono ostacolati nell'accesso alle strutture perché le aperture sono limitate, ne consegue che per mancanza di opportunità sono ridotte le adozioni, ed infine viene abbassato il benessere psico-fisico degli animali per l'impossibilità di effettuare lo sgambamento fuori dai box.

I canili dovrebbero avvalersi sia del lavoro di dipendenti retribuiti che dell'opera dei volontari, ma il problema dei costi della struttura non può diventare il pretesto per far nascere un business che ruota attorno agli ignari animali. Perché è evidente che le strutture private costano meno di quelle comunali, ma il risparmio della collettività è soltanto momentaneo ed illusorio, visto che a prezzi contenuti vengono limitati al minimo i servizi e ridotte le adozioni per non perdere la fonte di reddito, e visto che sono sempre e soltanto gli animali a sopportare le conseguenze di queste pessime scelte.

Alla luce di quanto detto è evidente che il business dei canili rappresenta uno dei tanti casi di sfruttamento degli animali.

In questo mese di agosto, quando purtroppo aumentano in numero significativo gli abbandoni degli animali domestici, tra cui i cani che vanno ad incrementare il già grave problema del randagismo, Silvana Denicolò del Gruppo Consiliare Regione Lazio del Movimento 5 Stelle, insieme ai consiglieri Gianluca Perilli e Gaia Pernarella, ha presentato una Mozione diretta al Presidente del Consiglio Regionale del Lazio Daniele Leodori, che ha per oggetto: “tassi di adozione insufficienti nei canili del Lazio. Mancato rispetto della DGR 43/2010 (e conseguenti possibili danni erariali).”

I dati riportati nel documento evidenziano che alla fine del 2014 è di ben 11.182 il numero di cani ospitati nei canili della Regione Lazio e tenendo conto che il relativo mantenimento di ciascuno di loro corrisponde ad una media di 1.500 - 2.000 euro annui, l'esborso totale dei Comuni arriva ad una cifra minima di diciassette milioni di euro.

I numeri sono chiari, la gestione dei canili destina milioni di euro dal pubblico al privato e per questo è fondamentale che la Regione contrasti la terribile speculazione sul randagismo responsabilizzando i funzionari dei Comuni che gestiscono questo notevole flusso di risorse.

Mentre la bassa percentuale di adozioni dimostra concretamente che i cani ospitati in questi lager rischiano di vivere tutta la loro vita reclusi, senza la benché minima speranza di una vita migliore, senza poter condividere l’affetto di una famiglia.

Insomma, la gestione dei canili è stata vergognosamente trasformata in un vero affare sulla pelle dei malcapitati animali che rischiano di vivere tutti i loro giorni segregati.

Una situazione totalmente illegale perché risultano inapplicate varie leggi. Quella Regionale 34/97 art.1, comma 1 che disciplina il randagismo e che riconosce ad ogni animale il diritto all'adozione: “.. ad ogni cane deve essere data la possibilità di essere adottato presso famiglie o associazioni di volontariato animalista e per la protezione degli animali”. Come già accennato, disattesa anche la D.G.R.43 del 2010 che disciplina le procedure di adozioni degli animali ricoverati nelle strutture in recepimento alla Legge 281/91 aggiornata nel 2007, dove è previsto che anche nei canili privati e convenzionati le adozioni e gli affidamenti dei cani non devono essere gestiti dai gestori dei canili privati, dai loro dipendenti o dai veterinari, ma soltanto dai volontari. La D.G.R. 43/2010 stabilisce inoltre che i Comuni non possono affidare i cani a soggetti che ostacolino la presenza dei volontari nelle strutture o che non aprano al pubblico, in quanto la presenza delle associazioni di volontariato animalista nei canili o nei gattili pubblici o privati, costituisce il requisito indispensabile per il contratto e/o convenzione di affidamento del servizio. I Comuni devono garantire che presso tali strutture ci siano appositi protocolli di adozione coordinati dalle associazioni di volontariato che prevedono un orario di apertura al pubblico di almeno tre giorni a settimana per quattro ore al giorno, uno di questi deve essere festivo o pre-festivo con la presenza di personale amministrativo per la compilazione delle pratiche di affido. Infine le strutture che mantengono i cani, per incentivare le adozioni sono obbligate a consentire l'accesso dei volontari facenti parte di associazioni riconosciute, almeno sei giorni a settimana per quattro ore al giorno, al fine di attivare gli atti per rintracciare l'eventuale proprietario o adottante, svolgere le attività di sgambamento e di socializzazione degli animali, redigere le schede di adottabilità e compatibilità.

In conclusione è amaro constatare che il risultato di tante battaglie animaliste è al momento soltanto scritto su fogli di carta, visto che le varie norme approvate dai legislatori nel corso degli anni, al fine di garantire il benessere degli animali, non vengono applicate.

Il business dei canili del Lazio

Ma per individuare le cause di questa drammatica situazione, una sicuramente è rintracciabile nella questione del randagismo, in quanto nella regione Lazio i cani catturati che vengono portati nei canili sono quasi tutti senza microchip, nonostante la maggior parte di essi probabilmente proviene da una famiglia che l'ha evidentemente abbandonato e non ha rispettato l'obbligo di iscrivere l'animale all'anagrafe canina.

L'altra causa è dovuta alle basse percentuali di adozioni nei canili del Lazio, che nel 2013 sono state calcolate in circa il 30% nei canili sanitari, il 23% nei canili rifugio pubblici ed il 18% nei canili privati convenzionati, difatti nelle regioni dove evidentemente vengono applicate le norme, il tasso di affidi è notevolmente più elevato fino ad arrivare al 50% nei canili sanitari ed al 30% nei canili rifugio.

Si può anche notare che il livello di adozioni è sopra il 30% nei canili pubblici di Velletri, Latina (2013-2014), Minturno, Furbara, La Muratella di Roma, e nei canili privati convenzionati Pellini di Aprilia, Iafrate di Arpino, Caerite di Bracciano, Dog Village di Fiano Romano, Vallegrande di Roma, Hotel degli Animali di Marino, Alba Dog di Pomezia, ovvero, in quelle strutture dove i gestori si avvalgono dell'impegno delle associazioni di volontariato, come previsto dalla legge.

In definitiva come emerge da questi dati l'operatività dei volontari esperti è fondamentale per facilitare le adozioni e garantire l'apertura al pubblico.

Come recita la Mozione: “la speculazione sul randagismo è legalmente, eticamente ed economicamente inaccettabile”.

L'interesse dei Comuni nel favorire le adozioni dovrebbe prevalere su quello economico dei gestori che incrementano gli introiti con le presenze, e la percentuale del 18% dei cani fatti adottare dai canili privati convenzionati è così bassa da costituire un indiscutibile indice di questo ignobile sfruttamento.

Bisognerebbe chiedere ai contribuenti che pagano il servizio se sono d'accordo con questo sperpero di denaro pubblico destinato al malessere e non al benessere dei cani.

Tanto che siamo sicuri di non esagerare nel paragonare la situazione di molti canili del Lazio nel monito presente nella porta d’entrata all’Inferno della Divina Commedia: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Difatti una volta entrati, difficilmente gli animali potranno uscirne vivi!

Come recita il comunicato stampa regionale: “la legge 281/91 non ha graziato i cani dalla pena di morte per destinarli al carcere a vita, in strutture affollate, decentrate e isolate”.

Siccome è compito delle Istituzioni locali in prima linea di applicare la normativa preposta, la Mozione impegna il Presidente della Regione Nicola Zingaretti e la Giunta Regionale a porre in atto quanto necessario per contrastare questo assurdo business, sensibilizzando i Comuni ed i servizi veterinari che devono garantire il controllo del benessere degli animali, il rispetto ed il diritto all'adozione, l'apertura dei canili nelle modalità stabilite e l'accesso e l'operatività dei volontari nelle strutture al fine di favorire le adozioni.

Infine viene chiesto di intervenire nei casi di ingiustificate restrizioni sul numero delle adozioni, e di comportamento ostile nei confronti del volontariato da parte dei gestori dei canili.

Speriamo che la richiesta dei consiglieri della Regione Lazio sblocchi questa situazione che costringe queste creature senzienti a vivere in modo innaturale, a soffrire e a morire senza un valido motivo!

Riteniamo che tutti gli esseri viventi del pianeta nascono liberi ed hanno diritto a vivere la propria esistenza come meglio credono, nel rispetto delle loro esigenze etologiche.


Ivana Pizzorni è responsabile della sede romana di SOS Gaia


22 agosto 2016