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Per conoscere gli animali occorre vederli nel loro ambiente naturale

 

Poco più di un secolo fa sorsero numerosi giardini zoologici che avevano come scopo unico o prevalente quello di esporre animali esotici per soddisfare curiosità  superficiali e divertire il pubblico.

Se si tratta di vedere le dimensioni, il colore e l’aspetto di certi animali è sufficiente visitare un museo zoologico.

Gli zoo, luoghi di sofferenza

Se invece si tratta di vedere gli animali come si muovono, come si comportano allora bisogna vederli nel loro ambiente naturale. Osservare un animale avulso dal suo ambiente poteva avere un senso uno o due secoli fa quando non si sapeva assolutamente nulla di ecologia e di etologia. Un animale è parte integrante di una comunità  di organismi, in cui occupa una certa posizione spaziale, si trova ad un certo livello della catena alimentare, cioè mangia certi organismi ed è mangiato da altri, è diurno o notturno, migratore o no. La forma, le dimensioni, il colore, la voce, il comportamento - spesso complesso - sono tutti in relazione con l’ambiente in cui vive (Carlo Consiglio, Una società  a misura di natura, l’Alternativa, 1981).

Gli zoo hanno favorito un rapporto aberrante con gli animali e riguardo alla sofferenza degli animali in cattività Konrad Lorenz ne “L’anello di Re Salomone” del 1949 scrisse che gli animali più infelici in cattività  non sono in genere quelli che suscitano maggiormente la compassione dei visitatori.

Comunque sicuramente soffrono quegli animali che in stato di libertà  compiono grandi distanze. Dice Carlo Consiglio, zoologo: “a giudicare dal puntare spasmodico verso una direzione geografica fissa da parte di un uccello in gabbia all’epoca della migrazione, si deve arguire che si tratta di un istinto fortissimo, paragonabile all’istinto sessuale; è quindi verosimile ritenere che l’impossibilità  di soddisfare questa esigenza dia sofferenza”.

Scrisse Lorenz, nel libro sopracitato: “…molto più infelici di tutti gli altri animali in condizioni di cattività  sono le scimmie, e soprattutto le antropomorfe, animali  a cui le sofferenze possono cagionare gravi danni fisici…”.

Negli ultimi anni le condizioni di cattività  di alcuni animali, ed in particolare delle scimmie, in alcuni zoo europei sono migliorate, ma ciò non è sicuramente sufficiente. I responsabili di zoo (e bioparchi) in diversi casi hanno evitato di realizzare barriere troppo evidenti, preferendo fossati non visibili al pubblico e anche cavi elettrici ben celati alla vista. Sono i cosiddetti “exbit”: si prefiggono l’obiettivo di creare angoli spettacolari di fittizie ricostruzioni bucoliche, utili all’ambiente e agli animali selvatici quanto un quadro di natura morta da appendere in salotto, ma più facilmente accettati dall’occhio del visitatore della domenica.

Per quanto riguarda la ricerca scientifica l’etologo Danilo Mainardi (nella prefazione del libro di Sandro Lovari, Etologia di campagna, Boringhieri, 1980), scrisse: “l’etologia di campagna (lo studio del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale) è senz’altro la più qualificante per quella scienza comportamentale che è l’etologia. E’ lì infatti, nel contesto ove gli animali si sono andati evolvendo, che è possibile verificare il significato adattativo dei loro comportamenti, è lì soprattutto che questi devono essere osservati, descritti, catalogati”.

Gli animali selvatici ed esotici vanno osservati e studiati liberi in natura, per cui SI al sostegno di rifugi faunistici, oasi di protezione, riserve e parchi naturalistici in ogni luogo della nostra Terra!

NO agli zoo!

 

Marco Francone

Presidente della Consulta Animalista della Città  di Torino


1° agosto 2017