La lunga agonia dei pesci: la risposta del Garante dei Diritti degli Animali all’articolo di Carlo Petrini
L’articolo del 1° luglio su La Stampa a firma di Carlo Petrini ha l’obiettivo di ricordare i problemi del mare, tuttavia il contenuto complessivo si deve definire assolutamente insufficiente, soprattutto perché non focalizza il vero e proprio dramma della depauperazione della fauna ittica e delle conseguenze per esseri viventi quali i pesci.
Attratto dal discorso sul “mangiare bene”, sottolinea per ben due volte la frittura di pesce dimostrando che la preoccupazione principale è quella del rispondere al gusto.
Anche la denuncia del pericolo reale delle microplastiche si focalizza sul cibo delle persone, indicando come il fine dell’articolo sia solamente l’alimentazione umana.
L’articolo si rifugia nel mito della pesca artigianale, nell’elogio dei piccoli pescatori che sono difesi a parole, ma non nei fatti poiché la fame di pesci mondiale spinge sempre di più a dilapidare gli ambiti marini e i piccoli pescatori hanno difficoltà a sopravvivere, mentre i mari e gli oceani sono arati da reti lunghissime che desertificano l’ambiente e prelevano tutto quanto vive, anche se poi almeno il 30 per cento viene buttato via perché non rientra nei canoni dell’alimentazione umana.
Invece di sottolineare il profumo del pesce fritto sarebbe meglio denunciare il consumo eccessivo, smodato, esorbitante di molluschi e pesci e delle conseguenze che comportano, poiché il problema drammatico è proprio la pesca, che desertifica mari e oceani, ed eccedendo le capacità riproduttive dei pesci,ne provoca lo spopolamento.
Per rispondere alla richiesta del mercato, sono necessari gli allevamenti intensivi di specie marine, che rappresentano ormai quasi il 50 % del pesce che arriva sulle tavole, allevamenti a cui è destinatoalmeno un altro 30 per cento del pesce pescato, come farine per la fauna carnivora allevata.
Le conseguenze in termini ambientali degli allevamenti marini sono ormai denunciate da più voci ufficiali e non possono essereignorate.
L’aspetto però più negativo dell’articolo è la sottolineatura esplicita del pesce come cibo, ignorando l’incredibile sofferenza degli animali.
I pesci liberi nei mari sono sottoposti a violenze nel momento della pesca industriale, schiacciati, soffocati, mutilati hanno agonie lunghissime di molti minuti che passano cercando faticosamente l’aria.
Se sono pescati alla canna soffrono le lesioni procurate dall’amo, in una zona ricca di cellule nervose in grado di recepire il dolore, a cui si aggiunge la fatica di opporsi alla trazione esercitata su di loro.
Quelli cacciati con la fiocina affrontano la sofferenza della ferita e una lunga agonia finche non viene posta fine alla loro vita.
Negli allevamenti gli animali soffrono lo stress per l’affollamento, la difficoltà di muoversi dato il grande numero di soggetti, la competizione alimentare che condanna i più deboli a non cibarsi appropriatamente e anche per loro la cattura è dolorosa come nel mare libero.
Il pesce non è cibo, è prima di tutto un animale che come noi soffre dolore e stress e tutta la sofferenza che noi umani infliggiamo è un elemento che dovrebbe colpirci nel profondo più del profumo di frittura perché proprio quel profumo è il segnale di scelte che contribuiscono a perpetuare un mondo di dolore e sofferenza.
Enrico Moriconi, medico veterinario, è Garante per i Diritti degli Animali della Regione Piemonte
L’articolo di Carlo Petrini:
www.repubblica.it/il-gusto/2021/07/01/news/carlo_petrini_una_rivoluzione_che_ci_unisca_per_fermare_l_ecocidio_del_mare-308432184
6 luglio 2021