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I nostri atteggiamenti nei confronti della natura portano alla distruzione dell’unico pianeta sul quale siamo in grado di vivere

Per me a livello nazionale va presa una posizione per ridimensionare la presenza del lupo. Infatti i cinghiali sono impauriti dai predatori e scendono a valle dove trovano da mangiare. I lupi si mangiano i cinghialetti e così diminuiscono in zone dove prima vivevano e si riproducevano in abbondanza. Per i cinghiali va ricreato l’ambiente in montagna, rendendosi conto che i lupi sono diventati troppi. Sono calati anche i caprioli…” Queste farneticanti affermazioni sono state rilasciate dal Presidente provinciale di Arezzo dell’Associazione venatoria Enalcaccia e riportate testualmente dal “Corriere di Arezzo” dello scorso 10 gennaio. L’ennesima conferma, se mai ce ne fosse ancora stato bisogno, che il mondo venatorio non ha nessuna intenzione di risolvere il problema della proliferazione dei cinghiali nel nostro Paese.

Cacciatori e politici: mistificazione continua

Anzi, auspica una situazione sempre più incontrollata, in modo da poter perseverare nell’esercizio della loro sanguinaria e devastante passione. I cacciatori, inoltre, non si rendono conto di essere stati la principale, anche se non unica, causa della proliferazione dell’animale. I ripopolamenti, spesso illegali, e modalità di caccia che favoriscono la disgregazione dei branchi e il conseguente anticipo dell’entrata in calore delle femmine (quali ad esempio la braccata, ove si usano mute di cani per stanare gli animali e condurli dove il cacciatore li attende con il fucile spianato) altro risultato non ottengono se non un aumento della popolazioni dell’animale selvatico. La caccia non risolverà mai il problema dei cinghiali: ormai lo affermano tutti. Anche lo stesso Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, massima autorità scientifica del nostro Paese in materia di fauna selvatica), il quale ha recentemente diffuso i dati relativi agli ultimi 7 anni: nonostante gli abbattimenti siano aumentati del 45% (raggiungendo la cifra media di 300.000 capi l’anno), la popolazione del suide selvatico continua a crescere ed ha ormai raggiunto un numero minimo di 1,5 milioni di individui. Contestualmente, aumentano i danni alle attività agricole, che si sono attestati intorno a una media di 17 milioni di euro l’anno. Eppure, il nostro amico aretino non trova di meglio che proporre di eliminare il lupo, unico vero antagonista del cinghiale e la cui attività di predazione è senza dubbio il metodo più efficace di contenimento delle loro popolazioni. Solo ignoranza? Ne dubitiamo: di fronte al rischio di un ritorno a situazioni ecologiche più naturali, quali quelle garantite dalla presenza dei predatori, i cacciatori non esitano a fare affermazioni prive di alcun fondamento e del tutto fuorvianti. Il problema è peggiorato dal fatto che i seguaci di Diana spesso trovano attenti interlocutori tra i politici, i quali, pur di accaparrarsi un pugno di voti, non esitano a scendere ad accordi con chi non ha altro obiettivo che sterminare animali selvatici a più non posso. Lo confermano due recenti episodi.

 

La modifica alla normativa nazionale

Il primo riguarda l’ormai tristemente famosa approvazione di una modifica alla normativa nazionale sull’attività venatoria che rappresenta un clamoroso regalo al mondo venatorio. La norma, infatti, ha cancellato i cosiddetti “metodi ecologici”, cioè incruenti, che in precedenza dovevano prioritariamente essere applicati nel controllo di specie selvatiche che creano problemi alle attività umane. Con la nuova versione della legge, di conseguenza, la prima ed unica opzione risulta essere l’abbattimento.

Abbattimenti i quali potranno avvenire ovunque, anche in ambiti cittadini ed all’interno di aree protette, e senza alcun vincolo di tempo: quindi anche al di fuori non solo delle tradizionali giornate di caccia, ma addirittura della stagione venatoria. Con conseguenze sulla sicurezza pubblica e sulla militarizzazione del territorio che non è difficile immaginare.

 

Un Piano straordinario

Ma l’aspetto che maggiormente preoccupa chi ritiene l’ambiente naturale un bene primario e collettivo, la cui salvaguardia deve essere un preciso dovere di ogni amministratore pubblico, riguarda un articolo di nuova istituzione. Viene prevista l’adozione di un non meglio definito Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, il quale dovrebbe occuparsi di “coordinamento e attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica sul territorio nazionale mediante abbattimento e cattura.” Di nuovo, senza alcun limite, né di tipo territoriale, né di tempo. Ma nemmeno di specie, per cui è possibile che la norma si possa applicare non solo, come si potrebbe ipotizzare, a cinghiali ed altri ungulati, ma anche a specie protette, quali lupi ed orsi.

Le attività di controllo della fauna, infatti, vengono esplicitamente considerate come “non costituenti esercizio di attività venatoria”, quindi nemmeno sottoposte alle regole della caccia.

 

Una modifica per il Piemonte?

Il secondo caso riguarda la Giunta Regionale del Piemonte, la quale, nell’ambito dei provvedimenti di fine anno noti come “legge Omnibus” intende modificare la normativa che disciplina l’esercizio venatorio, in particolare per quanto riguarda la possibilità di cacciare su terreno coperto da neve.

La legge nazionale di riferimento (n. 157/1992) limita tale attività alle zone montane e incarica le Regioni di stabilirne le modalità attuative. La Regione Piemonte, nell’ambito della Legge Regionale 5/2018 conferma il divieto, anche se prevede un numero così rilevante di eccezioni da vanificare quasi del tutto gli effetti della norma di tutela. Nella nostra Regione, infatti, è vietata: “la caccia sui terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, fatta eccezione per la caccia agli ungulati, cinghiali e alla volpe nella zona faunistica delle Alpi, per la caccia agli ungulati nella restante parte del territorio regionale e per l’attività di controllo” (art. 23, comma e).

Ma ciò evidentemente non è sufficiente per placare le brame del mondo venatorio.

Nel Disegno di Legge di cui sopra, infatti, è prevista l’estensione della possibilità di cacciare su terreni innevati anche ai Tetraonidi.

Si tratta di una sottofamiglia dei Fasianidi, che comprende una ventina di specie tipiche delle zone montane dell’emisfero boreale. Sono specie stanziali, nelle quali di solito il maschio presenta un piumaggio molto vistoso, soprattutto durante le fasi di corteggiamento. Sono, nella quasi totalità, specie in marcata sofferenza, spesso anche a rischio di estinzione, quanto meno su scala locale. I motivi di questa situazione sono molteplici e riconducibili soprattutto all’alterazione del loro ambiente naturale, anche come conseguenza dei cambiamenti climatici. A ciò si aggiunga un prelievo venatorio eccessivo e assolutamente insostenibile rispetto alle prioritarie esigenze di tutela delle specie.

 

Cacciatori e politici: mistificazione continuaLa “Liste rosse”

Nel nostro Paese tre specie di Tetraonidi risultano cacciabili: la pernice bianca (Lagopus muta), il fagiano di monte o gallo forcello (Tetrao tetrix) e il francolino di monte (Bonasia bonasia).

In Piemonte la caccia è consentita solo alle prime due specie, soprattutto a causa della presenza estremamente sporadica nella nostra Regione del francolino di monte. Ma anche per pernice bianca e fagiano di monte la situazione è tutt’altro che positiva: il numero di individui presenti ammonta a pochissime migliaia, ma soprattutto il trend è quasi ovunque in diminuzione. Lo conferma la recentissima (2022) pubblicazione delle “Liste rosse” da parte dell’UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, il massimo organismo scientifico di livello europeo che si occupa di fauna selvatica).

Secondo lo studio citato, sia pernice bianca che fagiano di monte risultano specie “a rischio”, ricadendo nelle categorie “specie vulnerabili” (pernice bianca) e addirittura “specie minacciate” (fagiano di monte).

Nonostante si tratti di specie prioritarie secondo le norme di tutela comunitarie (Direttive “Habitat” e “Uccelli”), come detto la caccia nel nostro Paese, e in particolare in Piemonte, è consentita, sia pure sulla base di piani di prelievo che dovrebbero tener conto della consistenza delle specie. Questa, a sua volta, viene determinata a seguito di censimenti, svolti in periodo primaverile e poi ripetuti in piena estate, allo scopo di verificare il successo delle attività riproduttive.

A prescindere dalle aree protette, ove le attività di monitoraggio vengono gestite da personale interno all’Ente gestore, i censimenti dei tetraonidi (ma anche di tutte le altre specie cacciabili) vengono affidati ai Comprensori Alpini, cioè proprio a coloro che hanno interesse a che il numero di animali risulti alto, in modo da poter prevedere elevati numero di capi da abbattere.

 

No alla caccia delle specie a rischio

In questa situazione, che le Associazioni ambientaliste da tempo denunciano, ci pare che prevedere ulteriori facilitazioni al prelievo venatorio di specie a rischio di estinzione sia un atteggiamento del tutto irresponsabile ed inaccettabile. Anche perché, in questo caso, non esistono problematiche legate a danni all’agricoltura o potenziali pericoli per la circolazione. Il consentire la caccia a questi animali è pertanto unicamente una scelta politica, che vede, contrapposti in misura netta, da un lato gli interessi ludici di una esigua minoranza della popolazione, dall’altra la necessità di operare per la salvaguardia dell’ambiente naturale, come richiesto dalla maggioranza della popolazione.

In un periodo in cui le emergenze ambientali si stanno facendo sempre più reali e il cambiamento climatico comincia a mostrare tutta la sua gravità, ci pare inaccettabile adottare misure che concorrono a degradare ulteriormente il contesto ambientale nel quale viviamo e dal quale traiamo tutte le nostre risorse. Se non modifichiamo i nostri atteggiamenti nei confronti della natura, passando da politiche di rapina e distruzione ad una situazione di equilibrio, continueremo il nostro tranquillo avvicinamento alla distruzione dell’unico pianeta sul quale siamo in grado di vivere.

 

Fonte: Pro Natura Notiziario N.3 Marzo 2023

 
14 febbraio 2023

 

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