Il recente salvataggio degli animali del circo Martin Show effettuato dal Corpo Forestale dello Stato e dalla LAV ha messo in evidenza una volta di più la sofferenza degli animali nei circhi.
L’umiliazione e le torture a cui sono sottoposti gli animali nei circhi sono note e sotto gli occhi di tutti. Il circo, notoriamente uno spettacolo che attira soprattutto i bambini, è in realtà uno dei veicoli di input più diseducativi, e ogni genitore che porta i figli al circo dovrebbe riflettere sul motivo per cui sottopone il proprio figlio a messaggi contro la natura e gli altri esseri viventi, incitando alla violenza, alla discriminazione e alla sottomissione di creature fiere che non hanno nessuna colpa se non quella di avere una forma diversa dalla nostra.
Chi difende il circo parla di una “tradizione” che deve essere tutelata e salvata. Del resto lo fa anche chi difende la caccia o i Palii.
Ma come si fa a voler difendere e tramandare una presunta “tradizione” che implica la sofferenza e la sottomissione di altri esseri viventi? Non vogliamo andare invece verso la civiltà e abbandonare una volta per tutte le tradizioni incivili? Esistono popoli che anticamente praticavano il cannibalismo. Faceva parte della loro tradizione ed aveva profondi significati rituali. Ma non per questo hanno continuato a mangiarsi tra di loro, o a mangiare chi apparteneva ad un’altra etnia. Si sono evoluti.
Lo stesso discorso vale per la caccia: chi la difende parla di “tradizione”. Ma allora vestiamoci di pelli, andiamo in giro con la clava, buttiamo via cellulari e gadget, viviamo da primitivi.
In realtà chi tira in ballo la tradizione è in palese malafede.
Prendiamo ad esempio la cosiddetta “tradizione” del circo, a cui si appellano i suoi sostenitori. In realtà non è affatto vero che il circo con gli animali faccia parte della tradizione del circense.
Giocolieri, danzatori, acrobati e clown erano già presenti nell’antichità, dagli antichi Egizi ai Romani, ma fu solo nelXVIII secolo che prese piede il circo, anche se non come viene inteso oggi. Infatti veniva definito “circo equestre” e si basava essenzialmente sull’abilità degli artisti, giocolieri, acrobati, danzatori o cavallerizzi. L’uso degli animali, fin dall’antichità, è stata un’attività molto marginale.
Pertanto sarebbe auspicabile che il circo facesse una virata verso una forma di spettacolo più evoluta, proiettata verso il futuro, che riporti il circo alle sue vere origini, in cui l’uomo esibisca le sue capacità di artista anziché dimostrare la sua abilità nel sottomettere con la violenza le altre specie.
Oggi abbiamo validi esempi di circhi senza animali, comeilCirque du Soleil o il Circo Zoppis. Realtà artistiche di grande valore che non fanno rimpiangere la presenza degli animali nemmeno a chi per disinformazione non si rende conto della sofferenza a cui questi sono sottoposti.
Il circo con gli animali ci riporta a un passato che andrebbe dimenticato, in cui certi spettacoli violenti venivano considerati un intrattenimento, come l’impiccagione, o la lotta tra i cani e gli orsi o i tori, in cui i cani venivano aizzati contro orsi e tori legati per le zampe, il collo o le corna. Spettacoli infimi per gente ignobile, giustificabile solo per via della grande ignoranza generale che portava all’inciviltà.
Oggi l’ignoranza non è più una giustificazione: la scienza ha ampiamente dimostrato che gli animali sono dotati di consapevolezza e intelligenza. Pertanto il circo con gli animali, basato sulla sottomissione delle altre specie a mezzo della forza, della coercizione e della violenza, è una dimostrazione di inciviltà che dovrebbe far vergognare, un esempio da cancellare sperando che le future generazioni lo dimentichino prima possibile.
Dal “Dossier Circo” della LAV emergono testimonianze a dir poco inquietanti di noti addestratori, affermazioni che più di ogni altro esempio possono far capire la realtà oscura dei circhi con gli animali.
Jean Richard, addestratore francese molto noto nel suo Paese, ha dichiarato: “Ho trovato una sola soluzione per sottomettere un leone: buttargli uno sgabello addosso, dritto sul muso. E più sento su di me l’odio del leone, meno sbaglio il bersaglio a cui indirizzo lo sgabello”.
Alfred Court, un altro domatore francese, ha detto: “Restavo solo con le tigri e i leoni e li punivo in modo che non avrebbero mai dimenticato. Il domatore fa agire il leone sotto la costante minaccia della morte e lo ricorda al leone con migliaia di punzecchiature, ferite e frustate. Il leone ruggisce la sua protesta, ma va avanti con l'esercizio, perché non vuole morire”.
Hans Falk, ex lavoratore del circo austriaco Knie, riferisce quanto visto nelle prime sessioni di addestramento di una giovane elefantessa africana: “Si iniziò con una sorta di esercizio di equilibrio, sopra un asse rigido tenuto a circa 50 centimetri da terra. Ma l’elefantessa, impaurita, si rifiutò. Allora, sia l’addestratore che Louis Knie persero la pazienza e ricorsero ad una asta metallica portante all’apice un uncino, il quale fu spinto e poi tirato sull’elefantessa. Si cercava di far svolgere l’esercizio in maniera corretta nel più breve tempo possibile, ma l’elefante rimaneva incapace di eseguirlo. Era giunto il momento di iniziare un piccolo inferno nella pista. Il domatore iniziava a colpire l’elefante sulle zampe fino al sanguinamento”.
Jean Richard, domatore francese: “Afferro una barra di metallo ed inizio a bastonare gli elefanti sulla testa con tutta la mia forza”.
Concludiamo questa ignobile carrellata con Liana Orfei: “Se un leone ti attacca e tu gli punti la forca, lui le si butta contro e si punge; lo fa una, due, tre volte, ma poi capisce che avventandosi sulla forca si punge e allora cerca di aggirare l’ostacolo. In questo caso gli arriva la frustata una prima volta, una seconda e così via, finché si rende conto che non può attaccarti e tu lo domi gradatamente con il condizionamento”.
Non credo ci sia bisogno di commenti.
27 ottobre 2014