Lo scorso 5 giugno 2015 l’Assessore alla caccia della Regione Piemonte Giorgio Ferrero ha riunito rappresentanti delle organizzazioni degli agricoltori, dei cacciatori, delle associazioni di protezione ambientale, degli ATC e dei CA intorno ad un tavolo definito “di concertazione” al fine di consentire ad ogni componente presente di “esprimere valutazioni, criticità, proposte” .
Il giorno successivo un cartello di associazioni venatorie rendeva pubblica l’intenzione di ricorrere al TAR contro il Calendario Venatorio 2015-2016 giudicato penalizzante per l’attività venatoria. Successivamente abbiamo avuto notizia di una lettera aperta della Federazione Italiana della Caccia al mondo agricolo nella quale si motiva la richiesta di anticipo dell’apertura generale della caccia con la necessità di non “veder paralizzata l’unica attività che potrebbe offrire conforto e sollievo economico al lavoro di migliaia di coltivatori piemontesi assediati da cinghiali e caprioli: la caccia”.
Cari Amici Agricoltori, coloro che per anni hanno creduto che l’attività venatoria potesse costituire “un conforto e un sollievo economico” per l’attività agricola oggi, iniziano a comprendere che la caccia in tanti anni ai coltivatori non ha recato vantaggio alcuno.
Le immissione a fini venatori di animali appartenenti a molteplici specie (minilepri, fagiani, lepri addirittura extraeuropee, mufloni e altri ungulati, cinghiali, …) sono state fatte - e molte continuano – a danno proprio delle attività agricole. La presenza stessa di gente armata nelle campagne e nei boschi, oltre a costituire serio pericolo per l’incolumità pubblica, penalizza quelle aziende agricole che attraverso il turismo desiderano valorizzare i loro prodotti.
La caccia e le pratiche a questa connesse determinano alterazioni degli equilibri ecologici danneggiando tutti.
Nessuno si dimentichi che la caccia si svolge proprio sui terreni degli agricoltori senza che a questi sia chiesto né il consenso né pagato l’affitto. L’ art. 842 del Codice Civile, in linea con la cultura fascista predominante nel periodo in cui fu approvato, consente ai cacciatori di invadere le proprietà altrui anche contro il volere di proprietari o conduttori di fondi. Le Aziende Faunistico Venatorie (ex Riserve di caccia) e le Aziende Agrituristico Venatorie spesso utilizzano per fini venatori i terreni agricoli corrispondendo compensi irrisori ai proprietari dei terreni.
L’art. 15 della Legge n. 157/1992 stabilisce che “per l’utilizzazione dei fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia, è dovuto ai proprietari o conduttori dei fondi un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente.” Con la scusa che il Piano Faunistico Venatorio Regionale non è mai stato approvato (nonostante sia previsto già dal lontano 1992) la Regione Piemonte non ha mai dato un euro di contributo agli agricoltori consentendo ai cacciatori di utilizzare i fondi privati “A.U.F Ad Usum Fabricae”, come dire “a spese degli agricoltori”.
Sul numero 2 di “Natura e Società” di giugno 2015 uno studio sui danni prodotti dalla fauna selvatica nel 2012 in provincia di Alessandria e sui vantaggi economici a favore dei cacciatori può riassumersi in questo modo:
a) i cacciatori pagano meno del valore della carne che portano a casa;
b) i danni all’agricoltura risultano totalmente a carico degli Enti Pubblici;
c) lo stesso vale per i danni da incidenti stradali, ovviamente nell’ipotesi che questi vengano effettivamente risarciti (cosa che nel 2012 ad Alessandria non si è verificata).
La lettera d) la aggiungiamo noi: d) vantaggi per gli agricoltori zero.
I dati relativi alla provincia di Alessandria si possono estendere, con qualche marginale adattamento, a tutto il paese.
Affidare il controllo della fauna che interferisce con le attività umane alle organizzazioni venatorie o agli ATC e ai CA non consente di affrontare con efficacia le problematiche presenti. Paradossale è l’esempio del cinghiale immesso in dosi massicce legalmente tra la fine degli anni ‘70 e i primi anno ’80 per la gioia e la felicità dei seguaci di Diana con i risultati che tutti conosciamo. L’unico soggetto che oggi ambisce a non vedere ridotta la presenza del cinghiale sul territorio è il cacciatore!
In questi ultimi decenni sono stati costantemente aumentati i limiti di carniere per il cinghiale, sono stati inventati i “selecontrollori”, è stata approvata e poi dichiarata “fallita” la L.R. 9/2000, ma “il problema cinghiale “ è ben lungi dall’essere risolto. Le immissioni clandestine di cinghiali continuano ancora oggi.
Non crediamo che i problemi ambientali ed economici degli agricoltori possano risolversi con i fucili dei cacciatori. E’ ora di uscire dal medioevo.
Le richieste avanzate dal mondo venatorio di anticipo dell’attività venatoria, di reinserimento della pernice bianca tra le specie cacciabili, di aumento dei limiti di carniere e dei periodi di caccia nulla hanno a che fare con la tutela dell’agricoltura.
Le associazioni di protezione ambientale riconoscono il sacrosanto diritto degli agricoltori di raccogliere i prodotti del loro lavoro e di tutelare i propri coltivi e sono ben disponibili con questi al confronto e alla collaborazione.
Chiediamo lo siano anche le associazioni degli agricoltori.
Torino, 20 giugno 2015
Per le Associazioni Pro Natura, LAC, Legambiente Biellese, WWF, CAI-TAM, Mountain Wilderness, LAV, LIPU
Roberto Piana
LAC Lega per l’abolizione della caccia – Str. Com. della Varda 55 – 10093 Collegno (TO)
Contatti e info cell: 349 1204891
21 giugno 2015