Il delfino tursiope |
Workshop internazionale su dove ospitare e riabilitare in acque italiane i delfini che provengono dalla cattività e dagli spiaggiamenti
Le Associazioni LAV e Marevivo in collaborazione con l'Istituto di Ricerca Tethys ed il patrocinio di ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile), il 13 maggio nella Sala Conferenze ENEA di Roma, hanno presentato il progetto pilota per trovare una soluzione alla sistemazione e cura in ambiente marino di delfini provenienti da delfinari e da spiaggiamento, avviando la procedura per la realizzazione del primo rifugio nei mari italiani.
Tra gli speakers: Giuseppe Notarbartolo di Sciara (Presidente Tethys Institute), Sandro Mazzariol (Università di Padova Italia), Joan Gonzalvo (Tethys Institute), Francesco Gulland (Marine Mammal Center California), Marco Affronte (membro del Parlamento Europeo e naturalista), Heather Rally (Wildlife Veterinarian specializzata nella riabilitazione dei cetacei), Vanesa Tossenberger (Policy Director and Cetacean Specialist, Whale and Dolphin Conservation), Gaia Angelini (Responsabile Area Animali Esotici LAV), Daniel Turner (Programme Manager Born Free Foundation), Avv. Carla Campanaro (Capo Ufficio Legale LAV).
Ha documentato l'evento una rappresentanza di SOS Gaia Roma.
Il delfino tursiope è una specie dei delfinidi che sopporta la cattività ed è ospitato nei numerosi delfinari del mondo, per questo è il più studiato ed il più conosciuto dal grande pubblico. Ben 50 paesi sono provvisti di queste strutture e più di 300 esemplari vivono in cattività in Europa.
I delfini vivono quasi sempre in branchi ed hanno delle complesse relazioni sociali di tipo familiare, sono carismatici e possiedono una intelligenza sviluppatissima, comunicano e si identificano, si chiamano con suoni e fischi che corrispondono ai loro nomi. I loro vocalizzi sono molto complessi tanto che sono oggetto di studio sin dagli anni '60, mentre le vibrazioni e gli ultrasuoni che emettono sembrano avere un potere benefico sulle persone. Imitano le sonorità che li circondano ed il loro dialogo è definito simile ad un canto perché molto equilibrato ed armonico.
Uno dei 15 delfini spiaggiati nella costa Toscana nel febbraio 2013 a causa di una infezione provocata dal batterio photobacterium damselae che può causare la sindrome emolitica e lesioni ulcerative |
I delfini hanno anche la grande capacità di ascoltare l'ambiente che li circonda in quanto gli echi e le sonorità del loro mondo acustico definiscono i contorni, le distanze, le forme, le grandezze e gli spessori delle cose che incontrano.
Giuseppe Notarbartolo di Sciara Presidente dell'Istituto di Ricerca Tethys sottolinea che il rapporto tra i delfini e l'uomo deve essere fisiologicamente corretto perché tutti i problemi di questi animali derivano da noi, quindi investire risorse umane e finanziarie per recuperare questi individui selvatici potrebbe sembrare una cosa strana ma è un contributo determinante al mantenimento della specie.
Secondo una stima approssimativa negli anni dal 2012 al 2015 nel nostro paese si sono spiaggiati 628 delfini e tra questi soltanto 34 sono stati ritrovati vivi.
Soccorrere questi animali in pericolo è un problema reale.
Ogni anno in Italia tantissime persone aiutano i cetacei in difficoltà e soprattutto sono contrarie alla loro detenzione in cattività.
Purtroppo però se i delfini si spiaggiano oppure vengono da un delfinario dismesso ed hanno bisogno di essere curati o riabilitati, oggi non esiste per loro una sistemazione temporanea o permanente in un ambiente idoneo alle loro esigenze etologiche, dove al termine della terapia o della riabilitazione possa essere facile liberarli in mare. Il workshop nasce dall'esigenza di trovare una soluzione a questa situazione affrontando il problema dei criteri generali di un rifugio per delfini.
Un portavoce della LAV ha sinteticamente spiegato che l'orientamento è quello di individuare aree naturalistiche protette secondo i principi già usati, anche se con le dovute differenze, per i santuari degli animali terrestri.
L'area del Mediterraneo ed in particolare l'Italia offrono diverse opportunità per realizzare rifugi idonei alla vita dei delfini sia per motivi climatici che per struttura geomorfologica dei luoghi, quindi nei nostri mari potrebbe nascere il primo rifugio al mondo che può ospitare i delfini.
Un momento dei lavori del Workshop alla sede dell'ENEA di Roma |
Le strutture potrebbero essere di due tipologie, o in un lago salato costiero molto vicino al mare, oppure in un'area con una baia o con un piccolo golfo in prossimità del mare.
La Regione Lazio si è già candidata proponendo la zona costiera dell'isola di Ventotene.
Comunque, anche se c'è massimo riserbo sui nomi dei luoghi, le località italiane già individuate dovrebbero essere tre, che successivamente verranno valutate dallo studio di fattibilità che durerà almeno un anno e che rappresenta la seconda fase del progetto pilota di LAV e Marevivo, in collaborazione con l'Istituto di Ricerca Tethys.
Soltanto dopo inizierà la fase della raccolta fondi per la realizzazione del rifugio.
Il rifugio per delfini in Italia è un progetto pilota in Europa e procede parallelamente con un piano analogo negli Stati Uniti che prevede un rifugio per cetacei ed orche.
Nel suo intervento il medico veterinario specializzato in cetacei, Sandro Mazzariol dell'Università di Padova dice che dal 2009 il Ministero dell'Ambiente ed il Ministero della Salute hanno iniziato a lavorare insieme attivando tavoli di lavoro per creare una rete nazionale di monitoraggio degli spiaggiamenti e per fornire delle linee guida condivise sul miglior comportamento da tenere in questi casi, come ad esempio cosa è giusto fare e cosa non fare, quando è necessario chiamare la guardia costiera competente, quando è possibile liberare il delfino spiaggiato ed infine quando bisogna praticare l'eutanasia.
Dice ancora Mazzariol che le meduse o velelle, i delfini tursiopi e a seguire i granchi ed i capodogli, sono gli animali che si spiaggiano più facilmente, ma negli ultimi anni sono stati molto frequenti anche casi di balenottere. Qualche anno fa è stato il morbillivirus a far ammalare e arenare molti esemplari, ma è oramai provato che le attività umane sono la causa principale delle difficoltà di questi animali; ferite provocate dalle reti da pesca, collisioni con i natanti, sonar militari tenuti a livelli di intensità troppo elevati che disturbano i cetacei disorientandoli perché anche loro comunicano tramite ecolocalizzazione o biosonar.
Uno di questi casi è stato affrontato dallo staff del Dr. Mazzariol nel 2014, riguardante una renella probabilmente cucciola che si è spiaggiata a Brancaleone in Calabria con la coda spezzata da una rete da pesca dove era rimasta impigliata. In questo caso i medici veterinari non hanno potuto sistemare o ricostruire la coda proprio perché non esiste ancora un rifugio dove stallare l'animale per praticare le terapie dopo l'intervento.
Programma del Workshop |
In definitiva finora è possibile curare e riabilitare gli animali arenati soltanto durante la breve sosta in spiaggia, mentre per quelli gravemente malati e non curabili è necessaria l'eutanasia prevista dalla legge.
La mancanza dei rifugi marini è quindi grave per tutti gli animali bisognosi, ma soprattutto per i cetacei sani ma non autonomi come quelli menomati ed i cuccioli che devono essere rilasciati immediatamente senza nessuna garanzia per la loro salute, e senza poterli monitorare a distanza per carenza di fondi.
Insomma una situazione di estrema criticità tenendo conto che, come denunciato dalle parole del Presidente dell'Istituto di Ricerca Tethys, è evidente che tutti i problemi di questi animali derivano dal comportamento degli uomini.
Marco Affronte Eurodeputato componente della Commissione Pesca ed Ambiente, naturalista e divulgatore scientifico, parlando della legislazione sugli spiaggiamenti dice che al momento a livello europeo non c'è una normativa comune che regoli il comportamento da seguire, e sui delfinari dice ancora che ha potuto avere soltanto uno scambio di vedute con gli altri componenti della Commissione Ambiente rimanendo deluso dalle reazioni, in quanto alcuni deputati spagnoli hanno semplicisticamente dichiarato che nei delfinari questi animali vivono bene.
L'europarlamentare in Commissione Europea ha denunciato il problema etico e culturale posto da queste strutture, perché è vero che fanno ottimi progetti didattici e di divulgazione scientifica, ma è altamente diseducativo far vedere ai nostri ragazzi e ai nostri bambini questi animali detenuti in un ambiente artificiale e non idoneo alle loro caratteristiche etologiche.
La Commissione europea con una irrituale modalità ed in modo drastico ha risposto all'eurodeputato che non ha intenzione di considerare il problema etico e culturale, e siccome la Direttiva Zoo 1999/22/CE che regola la custodia degli animali selvatici e quindi anche dei cetacei è rispettata, il problema non si pone.
Questa Direttiva stabilisce i criteri che i giardini zoologici ed i delfinari devono soddisfare, come promuovere l'istruzione e la sensibilità del pubblico, rispettare le esigenze etologiche dei cetacei e svolgere ricerche per la conservazione della specie.
Ma sulla Direttiva Zoo c'è molto da dire. Intanto l'istruzione e la didattica di cui parlano è molto opinabile, come non ricordare che nel 2014 nello zoo di Copenaghen la giraffa Maurius e successivamente quattro leoni furono uccisi per motivi irrisori, i loro cadaveri sezionati ed i resti dati in pasto agli altri animali, davanti allo sguardo dei bambini.
Cosa insegnano ai piccoli?
L'Alfabetizzazione ecologica |
È evidente che gli adulti che dovrebbero proteggerli ed indirizzarli così facendo mandano un messaggio di orrore e di violenza! Difatti, aggiunge l'eurodeputato, la Direttiva Zoo viene applicata in modo divergente o in maniera blanda dagli stati.
Inoltre i delfini e le balene non sono animali adatti ad esibirsi e a vivere in cattività, perché confinati in spazi innaturali che li privano di quell'arricchimento ambientale che soltanto i mari possono garantire loro, difatti rispetto a quelli liberi hanno tassi di mortalità e livelli di stress superiori. Ricordo un caso su tutti, l'orca Morgan arenatasi in Olanda nel 2010, che dopo essere stata curata non è stata più liberata ma trasferita in un parco acquatico delle Canarie dove ancora oggi è costretta ad esibirsi. Il suo comportamento è definito inusuale ed incomprensibile perché si spiaggia spesso ai bordi della piscina mettendo a repentaglio la propria vita, ma in realtà è un evidente atto di protesta per la sua ingiustificata detenzione.
Infine questi delfinari non svolgono neanche l'importante lavoro di ricerca assegnato loro per la conservazione della specie, perché essendo essenzialmente delle imprese commerciali lavorano a scopo di lucro e non hanno interesse a rispettare gli obblighi giuridici e morali che dovrebbero essergli imposti.
In definitiva è evidente che la Direttiva Zoo non è assolutamente rispettata.
Gaia Angelini, Responsabile Area Animali Esotici della LAV, ha parlato dell'impulso economico in chiave ecologica che deriverebbe dalla creazione di un santuario per animali marini.
Il modello individuato è pensato per essere inserito nelle aree protette naturalistiche e mira alla conservazione dell'ambiente ed al rispetto delle realtà locali, si basa sulla partecipazione responsabile verso gli animali e la natura.
Le aree diventerebbero promotrici di sviluppo eco-sostenibile, i visitatori si chiamerebbero eco-turisti, le zone immediatamente intorno diventerebbero degli eco-distretti che avrebbero un ritorno economico da questa attività ambientalistica.
I santuari sarebbero un modello di transizione e vettori educativi verso un approccio nei confronti della natura tipico del ventunesimo secolo.
Del resto il modello economico capitalistico del nostro tempo ha un grosso impatto sul capitale naturale, perché distrugge la biodiversità che viene ridotta di giorno in giorno in maniera massiccia ed insostenibile. Ad esempio in Europa è stato già raggiunto l'overshooting, ovvero la capacità della natura di sostenere le attività umane, mentre per il pianeta la fatidica data è il 13 agosto dopo la quale i nostri consumi ruberanno risorse al capitale naturale.
Una vista del barcone di Marevivo che si trova nel Lungotevere Arnaldo da Brescia allo Scalo de Pinedo |
Alcuni ritengono che manca l'alfabetizzazione ecologica che può essere realizzata stabilendo un contatto diretto, un coinvolgimento senza intermediari tra uomo e natura che solleciterebbe uno stile di vita che prevede il solo uso del capitale naturale offerto dal pianeta.
Dichiara infine la Responsabile della LAV che a tal fine il turismo sostenibile potrebbe essere una importante modalità di sperimentazione per aumentare la coscienza ambientale e preservare le risorse naturali.
Daniel Turner ha raccontato al pubblico il progetto da lui realizzato, il primo esempio andato a buon fine di riabilitazione dei delfini e di rilascio nel mar mediterraneo. Si tratta di due delfini tursiopi catturati lungo la costa nel 2006 e tenuti in un delfinario per anni , fin quando nel 2010 furono acquistati da un uomo d'affari russo che li trasferì in una piscina in montagna all'interno di un piccolo parco, dove i turisti pagavano 50 dollari per una nuotata con questi animali.
Ma la piscina era tenuta in pessime condizioni, sull'acqua vi erano pesci morti, rifiuti, e gli animali erano molto dimagriti, tra cui uno di questi versava in uno stato di salute così grave che il veterinario temeva di salvarlo. Grazie alla campagna di sensibilizzazione promossa dal Dr. Turner e dal suo staff, anche tramite giornali, i turisti in vacanza rinunciarono a frequentare la piscina facendo perdere i guadagni all'uomo d'affari russo. Fino a quando un giorno l'uomo se ne andò e abbandonò anche i delfini.
Da questo momento il Dr.Turner iniziò il progetto di recupero assumendosi l'onere di salvare gli animali, prima con il loro acquisto poi riportandoli in mare all'interno di un camioncino refrigerato.
In una baia protetta del sud del Mar Egeo i delfini furono dapprima sistemati in un recinto piccolo ma tra settembre e novembre 2013 la struttura fu allargata fino a raggiungere un diametro di 30 metri ed in alcuni punti la profondità di 15 metri, dove gli animali avevano un sufficiente spazio per nuotare e reimparare le loro attività quotidiane.
Nel recinto i delfini furono riabilitati per due anni al fine di riacquistare la loro indipendenza, e successivamente furono liberati e seguiti ancora per qualche mese. Un progetto certamente molto oneroso ma per fortuna andato a buon fine.
Daniel Turner salvando questi due delfini ha testimoniato l'importanza della creazione dei rifugi per garantire le cure migliori ed il recupero dei cetacei, con la speranza che possa essere replicato in altri paesi europei ed in altre parti del mondo.
In conclusione chiude i lavori del workshop Rosalba Giugni Presidente di Marevivo ringraziando gli intervenuti e dando appuntamento alla presentazione dello studio di fattibilità.
Ivana Pizzorni è responsabile della sede romana di SOS Gaia
29 Giugno 2016