Ovvero: come “non” vengono tutelati gli animali
Nel lontano 1999 l’Unione Europea stabilì delle linee guida e le normative per quanto riguardava l’esposizione al pubblico degli animali. Solo nel 2005 l’Italia recepì la direttiva europea con la legge n.73 e lo zoo cambiò: non solo un’area con animali in gabbia ma un luogo in cui tutelare e garantire il benessere, le esigenze biologiche, di riproduzione e conservazione degli animali nati in cattività. Questo secondo la legge ma la realtà è ben diversa.
Ad essere competente è il Ministero dell’Ambiente, ma per via delle scarse risorse ha dato l’incarico al Corpo Forestale dello Stato, ora assorbito dall’Arma dei Carabinieri, con tutti i problemi che questo passaggio sta creando in termini organizzativi, in cui è facile presumere che a farne le spese siano sempre gli animali perché verrà a mancare un organismo di tutela ben oliato quale era il CITES.
I controlli sono così lenti e portano a così pochi risultati che la Commissione Europea ha richiamato l’Italia, per inadempienza. Quando arrivò la legge, nel 2005, le strutture avevano due scelte possibili: adeguarsi alle nuove norme e chiedere la licenza oppure chiedere di esserne esclusi diventando “mostre faunistiche” che si differenziano dagli zoo solo per il numero di animali e specie o per parametri riguardanti il numero di visitatori. Molti hanno semplicemente autocertificato la propria situazione, continuando a mantenere le strutture nella stessa condizione iniziale, in attesa dei controlli che tardano ad arrivare. Spesso in seguito ai sopralluoghi (ormai sono già passati anni dalle autocertificazioni avvenute nel 2005) vengono richiesti adeguamenti che poi andrebbero fatti e verificati, ma ad oggi più delle metà delle strutture sono state visitate una sola volta e nessuno ha controllato cosa sia stato fatto in seguito.
Dopo più di 10 anni manca ancora un censimento nazionale delle specie presenti nel territorio, si stima che gli animali di grossa taglia siano fra i 5000 e i 6000, ma nessuno ha stilato un elenco di dove siano e di quali siano le loro condizioni di detenzione. Ad oggi è impossibile anche solo pensare ad un censimento che comprenda gli animali più piccoli come pesci, rettili, farfalle… In realtà non si hanno neanche dati precisi sul valore economico della questione zoo: quanti addetti ai lavori ci sono in Italia? Quanti veterinari, quanti etologi, quanti dipendenti che si occupano degli animali per quanto riguarda il cibo, la pulizia? Quanti gestori di zoo e/o mostre faunistiche ci sono?
In questo quadro lacunoso è presente un limbo ancora peggiore: le strutture ritenute non idonee e per cui è stato chiesto il sequestro e la chiusura. Mancando strutture idonee in cui spostare gli animali spesso viene deciso di lasciarli lì, in attesa di capire cosa farne. Quindi zoo in cui gli animali sono tenuti così male da non poter neanche pensare di richiedere un adeguamento alla normativa sono di fatto lasciati a loro stessi, semplicemente chiusi al pubblico e gli animali sono abbandonati al loro destino in strutture che non sono adatte ad ospitarli in attesa che si liberino posti in altri zoo.
Alla luce di tutto questo, come si può anche solo ragionevolmente pensare di permettere l’apertura di un altro zoo, come minaccia di fare la giunta di Torino? Una volta aperto uno zoo, è praticamente impossibile che venga chiuso anche quando le minime condizioni di tutela per gli animali che vi sono rinchiusi vengono a mancare.
26 luglio 2017